Nessun cartellino da timbrare, ora entri in ufficio solo con lo SCONTRINO DELLA BILANCIA | Se ingrassi anche solo di un chilo, ti mandano a casa

Donna in ufficio (Foto di TheStandingDesk su Unsplash) - bitontotv.it
Adesso per entrare in ufficio al posto del cartellino da timbrare ti chiedono di salire sulla bilancia: lavori solo se non superi un certo peso.
C’è chi deve timbrare un cartellino prima di iniziare il turno, e alla fine. E chi, prima di entrare al lavoro, deve salire su una bilancia.
Sembra uno scherzo, o un’esagerazione da film distopico. Ma purtroppo è una fotografia reale di ciò che accade in alcuni ambienti insospettabili. Un’assurdità che farebbe ridere, se non facesse invece indignare.
Dietro le quinte di un mondo che per decenni è stato sinonimo di eleganza e raffinatezza, si stanno aprendo crepe profonde.
E se il glamour resta sotto i riflettori, è nei laboratori e negli stabilimenti che il racconto cambia radicalmente tono. Qui, devi avere il peso di una modella per lavorare, altrimenti resti a casa. O vieni presa in giro.
Lavoro: al posto del cartellino, lo scontrino della bilancia
Negli ultimi tempi, il settore del lusso sta vivendo un momento critico. I fatturati rallentano, i prezzi schizzano verso l’alto e l’immagine patinata inizia a sgretolarsi. È in questo contesto che esplode la protesta delle lavoratrici di Manifattura San Maurizio, del gruppo Max Mara, fiore all’occhiello del Made in Italy.
Secondo la Filctem Cgil di Reggio Emilia, le condizioni denunciate sono pesanti: “Rigidità organizzativa, usura fisica, pressioni individuali, mancato riconoscimento economico, nessuna disponibilità al confronto”. Un vissuto quotidiano definito “inaccettabile”, si legge su lastampa.it. Ma cosa c’entra tutto questo con la bilancia?
La notizia che fa indignare
La Segretaria Generale, Erica Morelli, ha parlato senza giri di parole sul sito citato: “Qui siamo fermi agli anni ’80. La Direzione ha alzato un muro. Questo sciopero è un segnale: serve rispetto per chi lavora”. Il racconto più scioccante arriva dalle stesse operaie: “Ci hanno chiamate mucche da mungere. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, e ci hanno consigliato esercizi da fare a casa. Contano quante volte andiamo in bagno. Ma siamo donne, abbiamo il ciclo. È disumano. Ora basta”.
Non è un caso isolato. Dalle indagini dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro sono emersi altri scenari drammatici. Borse vendute a 3.000 euro prodotte in laboratori-dormitorio tra Milano e Bergamo, con manodopera pagata 2 euro all’ora, spesso in nero. Il costo reale di produzione di una borsa? 40-90 euro. Il resto è profitto. Il peggio del capitalismo in abito da sera. La domanda resta: può un settore che rappresenta il 5% del PIL nazionale continuare a ignorare la dignità umana per restare competitivo?