Non si riesce a dipanare la matassa dei vaccini. Contratti, consegne, efficacia ed ora, ricorsi probabili alla carta bollata, complicano il percorso per il raggiungimento di una immunità di gregge, apparsa alla portata nel giro di pochi mesi. Tra ricerca, produzione e distribuzione sembra che la prima abbia battuto le altre sulla tempistica. Nella primavera scorsa, isolato il virus, si erano previsti tempi parecchio più lunghi per sviluppare il vaccino. E invece sono “bastati” una decina di mesi ai ricercatori di tutto il globo per la conquista dell’agognato antidoto. Sembrava che il grosso fosse passato.
E invece le aziende produttrici Pfizer, AstraZeneca, Moderna imboccano una strettoia non prevista. Mostrano difficoltà evidenti nel produrre le dosi promesse e contrattualizzate. Tanto da allarmare la pubblica opinione. E i Governi dei Paesi contraenti ne escono increduli e irritati. A tal punto che ha fatto la voce grossa Ursula von der Leyen, in qualità di Presidente della Commissione Europea, in un serrato confronto telefonico con l’A.D. della casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca. Bruxelles esorta l’azienda a rispettare i patti previsti, tenuto conto del finanziamento anticipato con il quale la Comunità Europea intendeva cautelarsi contro eventuale sottoproduzione. Ma c’è di più.
L’UE ha minacciato di mettere in atto uno specifico regolamento restrittivo, tale da garantire massima trasparenza nella produzione e distribuzione degli stabilimenti europei, non solo di AstraZeneca, ma pure di Pfizer e Moderna. Non si è fatta attendere la reazione di Boris Johnson che, fresco di Brexit, ha criticato con risentimento l’idea del Governo europeo auspicando che i preziosi carichi viaggino in maniera equa verso ogni destinazione. Gli ha fatto eco la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che proprio non gradisce le ipotizzate misure protettive continentali, mostrandosi più incline per uno sviluppo multilaterale della delicata faccenda. La temuta guerra dei vaccini è solo agli inizi.